martedì 7 ottobre 2008

DOVERE E RESPONSABILITA' Non abbassiamo la guardia sull'azione della Corte dei Conti

Corte dei Conti ancora in azione? Certo, e da parte nostra, per dovere e senso di responsabilità nei confronti dei cittadini, attenzione particolare al tema senza mai abbassare la guardia. Mercoledì 24 Settembre è stato promosso dall’amministrazione comunale un seminario di formazione dal titolo:” La responsabilità amministrativa nell’ente locale”. Invitato a tenere la conferenza il dott. Massimiliano Atelli, Consigliere della Corte dei Conti e Capo Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente. Persona di grande responsabilità e spessore tecnico.
Come Partito Democratico non abbiamo voluto mancare, perché l’argomento proposto ha approfondito molti degli aspetti che sono utili per comprendere cause e motivazioni di quanto avvenuto a Busto, pochi anni or sono, durante la giunta monocolore leghista a guida Gianfranco Tosi e, per eredità probabilmente inconsapevole, quella di Gigi Rosa, centro destra. Sappiamo che la Corte dei Conti deve deliberare in merito, e che le ripercussioni sulla vita amministrativa, sui dipendenti comunali e quindi sull’intera città si configurano come cosa di non poco conto. Anzi, per essere del tutto sinceri, si caratterizzeranno come notevolmente gravi.
Ciò che ci spinge a prendere come soggetto della nostra conversazione settimanale questo argomento, è la reazione che esponenti autorevoli della maggioranza hanno tenuto in questi giorni. Rischiando, per come la vediamo noi, di rimandare una visione distorta degli avvenimenti, con quale fine giudicherà chi avrà la pazienza di seguire un tema complesso ma scottante.
Come sappiamo, nei prossimi mesi dovranno essere assunti atti che riguardano la riduzione degli stipendi dei dirigenti e di un notevole numero di progressioni per altri lavoratori del comune. I soldi che si ritengono illecitamente erogati sono soldi pubblici: di noi cittadini, per intenderci. E’ bene non scordarlo, quando si inciampa in marciapiedi rotti, buche nelle strade, giardini pubblici privi di servizi, scuole materne che chiedono da tempo piccoli interventi e li ottengono spesso nell’anno del forse…mai. Tanto per restare nelle “ piccole” cose che riguardano l’ordinaria amministrazione.
Il prof. Atelli ha lasciato pochi dubbi in merito. Dove vi sia stata dazione di denaro non giustificabile, vale a dire in mancanza di obiettivi precisi e risultati fissati e raggiunti, questi soldi vanno restituiti. Verso la fine dell’incontro, le parole del nostro sindaco ci hanno lasciati a dir poco “basiti”. E anche un po’ arrabbiati. Il primo cittadino ha evidenziato con una qual sicumera, una presunta ambiguità di alcune norme, piegando i fatti verso l’ipotesi del difetto di interpretazione a proposito degli avvenimenti sotto la lente del giudice contabile. Quasi a dire: se il legislatore fosse stato più chiaro, non vi sarebbero stati errori. Non ha aggiunto: almeno in alcuni casi, per certi aspetti particolari. Niente affatto. La vicenda a chi lo ascoltava poteva apparire frutto di qualche involontario fraintendimento.
Scherziamo? A parte il fatto che persino il segretario comunale scuoteva la testa e si lasciava andare a battute che certo non supportavano l’”analisi del primo cittadino, forse è il caso ricominciare ad assumersi le proprie responsabilità, caro Farioli.
Ovvero: 1) se anche l’alleato leghista scalpita per insabbiare le cose, alla città non importa. Ora governi tu, e tua è la responsabilità delle affermazioni che rilasci e delle decisioni che prenderai;
2) il 24 luglio 2007, due mesi or sono, la Tua giunta ha licenziato cinque delibere in autotutela: che vuol dire annullare procedimenti che si riferiscono alla vicenda in questione per non esserne coinvolti. Molto giusto.
Qualcuno deve ricordarti che hai dovuto farlo per prendere le distanze da atti in cui la legge richiedeva necessariamente il parere dei revisori dei conti, con apposita relazione illustrativa tecnico contabile, che non c’è mai stata? Come lo chiami questo, un “difetto” d’interpretazione? Anche l’erogazione di stipendi pari a 38.000 euro il mese di agosto, e magari altrettanti qualche mese prima, sono un difetto d’interpretazione?
Per favore, siamo seri! Qualche fatto certamente ricadrà in quello che Atelli ha definito danno lieve, e quindi involontario. Il resto è danno grave, di cui si deve rispondere. A cui un’amministrazione seria deve far seguire atti conseguenti, se ne è convinta. Se no, prenda pubblicamente posizione, e difenda chi li ha assunti.A proposito: le delibere citate sono facilmente reperibili sul sito on line del Comune di Busto, numeri: 393,394,395,396,409. Dobbiamo dire altro? Verrà rimproverato altro all’opposizione? Volete che facciamo di più? Siamo d’accordo, carissimi cittadini. Alle prossime amministrative, per favore, spegnete la televisione per un po’, lasciate perdere quello che succede a Roma e, guardando in casa nostra, osate un atto coraggioso e innovativo: cambiate voto. Possiamo fare di più, meglio e con onestà.

"CASO" LATTUADA Proviamoci col dialogo dopo un Consiglio Comunale soft

Il primo consiglio comunale della ripresa dopo la pausa estiva, si è svolto martedì 16 settembre, ed è stato un consiglio per così dire “soft”. Con una sola delibera all’ordine del giorno, si sono potute affrontare interrogazioni e mozioni dei consiglieri, da tempo ferme in attesa di essere discusse. O meglio: sono state trattate ed evase quelle dei consiglieri arrivati e rimasti in sala esagonale, e non quelle di chi se n’è andato poco più di mezz’ora dopo l’inizio, come i colleghi Porfidio e Corrado. Su questo, transeat.
Nei tre minuti che lo statuto mette a disposizione di ciascun gruppo per trattare un tema a piacere, dal banco di Rifondazione Comunista è stato letto un comunicato che stigmatizzava l’eventualità che nella costituenda giunta due del sindaco Farioli possa essere chiamato a svolgere un ruolo di assessore Francesco Lattuada, capogruppo di AN. La richiesta di evitare il conferimento dell’incarico all’esponente politico, è motivata dal fatto che lo stesso è da alcuni mesi sotto inchiesta della magistratura per ipotesi di reato configurabile come “apologia di nazismo”. Un reato rubricabile fra quelli di opinione, certo, ma che suscita un moto di ripulsa, inevitabile quando lo si associa all’ideologia nazifascista.
Questo comporta una valutazione quanto meno di opportunità, a cui il sindaco non può sfuggire e di cui sarebbe chiamato a rispondere. Soprattutto considerando che viviamo anni, nella nostra città, segnati da momenti difficili e preoccupanti, in cui rigurgiti di ideologie che la storia ha definitivamente condannato si sono manifestati più volte e con violenza. Per ricordare i fatti più eclatanti, citiamo l’attentato alla sede dell’ANPI, la vergognosa aggressione verbale e intimidatoria al nostro Angioletto Castiglioni, da parte di un gruppo di facinorosi naziskin, l’indagine su gruppi il cui obiettivo era la ricostituzione del famigerato patito nazionalsocialista, con tanto di festeggiamento per l’anniversario della nascita di Hitler, che ha coinvolto l’esponente politico menzionato. Fatti che hanno avuto risonanza nazionale, e di cui Busto non può certo dirsi fiera.
Anche in politica, continuano le polemiche sulla ricostituzione di un comitato antifascista, su cui non c’è condivisione d’intenti in merito al se e come concretizzarlo nuovamente. Così, per reazione, piccoli gruppi provano a farselo “in casa”, per così dire; dimenticando la lezione degli antifascisti veri, i nostri partigiani, che sapevano e sanno quanto sia imprescindibile estendere la partecipazione, non restringerla. Lezione che un partigiano del valore di Giovanni Castiglioni ha caparbiamente insegnato a tutti, sempre.
Il timore che suscita in noi questa situazione è il rischio di stagnazione, la contrapposizione sterile, la regressione verso l’impossibilità di un dialogo fecondo fra coloro che sono disponibili a lavorare in questa direzione.
Per questo, le parole pronunciate dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il 13 settembre alla Festa dei giovani del suo partito sono un evento importante: inaspettato, forse non compreso fino in fondo, eppure carico di implicazioni.
«Sono convinto - ha scandito Fini - che la destra politica italiana debba dire alto e forte che si riconosce in alcuni valori, in particolare i valori della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Sono tre valori tipici di ogni democrazia, ben chiari nella nostra Costituzione. Valori che a pieno titolo possono essere definiti valori antifascisti». Da questa premessa Fini ha fatto discendere una serie di affermazioni inequivocabili, prima fra tutte «ogni democratico è antifascista». Ben sapendo che non tutti gli antifascisti (quelli che credevano nell’Unione sovietica di Stalin) erano democratici. Un discorso senza dubbio apprezzabile, un passo fondamentale verso la costituzione di una destra antifascista e moderna: senza nessuna nostalgia per la storia, gli uomini, i simboli del passato nazi-fascista. Simboli che, a Busto, alcuni rivendicano come legittima opinione fra tante, dissociandoli dalla morte e dal terrore di cui sono portatori.
La verità di quelle parole sostiene quel legame costituzionale nato dalla Resistenza e dalla Liberazione che, unico, può fondare una memoria condivisa, una riflessione storica comune. Apre la via ad un dialogo, nel senso vero di “parlare insieme di qualcosa”, affinché il parlare renda possibile l’incontro. E questo implica che dall’altra parte si istituisca quel “saper ascoltare”, che di un colloquio è parte costitutiva.
Proprio quello di cui avremmo bisogno nella nostra città. Per isolare i violenti e gli ottusi, per far finire un’epoca di chiusure e conventicole, di gruppuscoli e comitatini che coltivano la separazione quasi fosse essa “il” valore, e loro i possessori dell’unica verità vera. Dopo i tanti, brutti avvenimenti di quest’anno, se proprio Busto si facesse punto di partenza per il nuovo, sarebbe un bel segnale. Proviamoci.

SOFFERENZA INDUSTRIALE Malpensa, Fiumicino... e tutti zitti-zitti?

Nelle ore in cui scriviamo queste righe, la tensione per il futuro di Alitalia è alle stelle. Sabato 13 settembre, la giornata più nera di questa vicenda, migliaia di viaggiatori hanno telefonato al call center della compagnia di bandiera per avere informazioni sulla situazione dei voli e la validità dei biglietti. I centralinisti hanno sconsigliato l’acquisto immediato: ”Aspetti a comprare il biglietto, ancora non sappiamo niente di sicuro”. E’ in pericolo anche la licenza di volo: siamo al caos e a una fine indecorosa, perché di fine si tratta, comunque vada. L’elenco completo e la graduatoria delle responsabilità sono pressoché impossibili in poche frasi: si tratterebbe di riscrivere l’intera storia, interessante comunque perché sarebbe metafora della storia italiana e dei suoi intrighi e intrecci politici, economici, finanziari, corporativi.
A noi che, con buona pace di altre autorevoli opinioni, non siamo ancora dissociati tra l’essere bustocchi e varesotti, e poi italiani; a noi che ci preoccupiamo della situazione per il suo impatto complessivo e quindi anche per il futuro di Malpensa e Linate, che sono strategici per il nostro sistema territoriale, viene naturale soffermarci a riflettere su alcuni aspetti importanti. Il Presidente del Consiglio ci aveva imbonito da giorni, pensando che tutto fosse a posto. Poi ha dovuto cedere e intervenire prima che la sua operazione crollasse miseramente, cercando di accollare le responsabilità alla sinistra per il no di quei sindacati, la cui collocazione alla sua destra dev’ essergli sfuggita. Una faccia tosta encomiabile, dopo che per ragioni elettorali e politiche ha infilato Alitalia in questo incubo. Ve lo ricordate Berlusconi, prima della rinuncia di Air France, da leader dell’opposizione farsi paladino della bandiera dell’italianità?
Eppure, per le prospettiva industriali e strategiche, per il prezzo dell’operazione – ad Air France sarebbe costata 3 miliardi, senza oneri per i contribuenti – per la pulizia e chiarezza delle procedure, quella era una soluzione indiscutibilmente migliore. Oggi siamo di fronte ad un progetto che metterà a carico dei cittadini – anche padani!- un miliardo e mezzo (dopo che in questi anni ne abbiamo già pagati 3) settemila esuberi e una decontribuzione dei costi del lavoro a favore delle aziende, che rischia di creare un pericoloso precedente, perché in Italia crisi ce ne sono ovunque, e altri potrebbero giustamente chiedere lo stesso trattamento. Il tutto per un piano che non darà vita a una nuova e importante compagnia di bandiera, ma alla nuova AirOne domestica e monopolistica con capacità di azione e investimenti limitati.
Che significa questo per noi? Che la nuova società non riuscirebbe mai a dare risposte territoriali adeguate. Come: prima una polemica infinita per i due hub di Fiumicino e Malpensa, e adesso che non ce ne rimane nemmeno uno tutti zitti? Tutta la diatriba su chi dovesse tenersi l’hub, Milano o Roma, era una presa in giro?
Che si possa sganciare la sorte di Alitalia da Malpensa è cosa ovvia: come si faccia e i risultati da ottenere sono ben altro, non vi è nulla di sicuro e di già scritto nelle stelle. Di certo appare sempre più probabile la sofferenza industriale di Linate e Malpensa nel prossimo futuro, e la fine delle speranze che quest’ultima possa caratterizzarsi come un vero hub, in grado di competere con gli altri aeroporti europei che lo sono da tempo. In un’area strategica come il corridoio 5, attraversata dall’alta velocità e da un sistema di relazioni economiche di altissimo livello, il problema dell’assenza di un trasporto aereo a caratura internazionale non è cosa che si possa sottovalutare. E allora siamo sinceri: la battaglia l’abbiamo persa, e chi sta oggi a Roma ha voluto che la perdessimo. La bandiera? Si sarebbe potuto investire perché imprenditori italiani entrassero nell’azionariato. Meglio partecipare ad una cosa grande che essere padroncini di una cosa piccola. La paura che da parte di Air France si sarebbe mirato a eliminare un concorrente è, prima di tutto, una paura che risente di una mentalità ancora provinciale. Siamo nell’era della globalizzazione, del mercato globale: dobbiamo ricordarvelo noi? Ciò che conta è raggiungere gli obiettivi aziendali, diventare forti e competitivi: questo un’azienda sana persegue, non la nostra francesizzazzione; e, quand’anche il timore fosse fondato, la capacità di condizionamento dei nostri azionisti avrebbe avuto il suo peso. Sempre meglio di una piccola compagnia regionale, pagata dai cittadini. E forse eppure quella.Oggi, se anche una soluzione fosse raggiunta, sarebbe solo una pezza che lascerebbe aperti enormi problemi. Di fronte al conflitto politica-logica, caro direttore, sembra che manchino entrambe. O, forse, sono rimaste tutte e due quelle di sempre: quelle di una classe dirigente non all’altezza di un mondo che “vola”

COMMEDIA GIA' SCRITTA "Rimpasto di Giunta" non solo questione di forma

I pochi giorni di vacanza volano. Li aspetti un anno, e prima ancora che te ne accorga sono passati. Niente di più banale, eppure niente di più vero. Una storia che si ripete a ogni anno che passa.
Fra le cose che più si apprezzano nei giorni di riposo vi è quello “staccare la spina” che non è tanto, o non solo, sospendere il lavoro per un poco. Nella nostra cosiddetta società post-moderna e ultra mediatica anche il bombardamento di informazioni, soprattutto per chi si occupa di politica, è spesso una delle principali cause di stress. Per questa ragione chi ha avuto la fortuna di andare via – e ricordiamo i tanti, troppi, che non possono godere di questo privilegio - quando ritorna è spesso preda di una sorta di smarrimento. Pieni di buona volontà e di energia, ci aspetteremmo una ripresa vivace e operosa, all’altezza dei problemi che si devono affrontare. Poi, dando un veloce sguardo al dibattito politico-amministrativo, e ci riferiamo a quello cittadino, l’entusiasmo se ne va, come le belle giornate, il ricordo del mare, del sole e delle buone letture rimandate durante l’anno e godute in piena tranquillità.
Già di per sé la situazione generale non è delle migliori. Le prospettive di crisi economica in tutti i Paesi dell'Unione Europea sono sempre più nere: giù i consumi, giù gli investimenti. Per noi, che siamo sicuramente messi meno bene dei cugini europei, la situazione è ancora più preoccupante.
I cittadini al ritorno dalle ferie hanno trovato rincari in ogni settore: bollette - energia e gas in testa -, libri di testo, generi alimentari, carburante. Tranne stipendi e pensioni, tutto sale. La manovra fiscale sembra scaricare tutti i costi su Regioni e Comuni, già da tempo in difficoltà con i bilanci. Fra ottobre e dicembre prossimi il Parlamento dovrebbe votare la legge delega sul Federalismo - rispetto al quale come forza politica non abbiamo pregiudiziali - ma che va verificata nei dettagli poiché i costi economici e sociali per la collettività non sono ancora quantificati. Approvare una riforma di queste proporzioni in così breve tempo può far correre il rischio di varare un aborto informe se non addirittura un mostro legislativo. Per di più in tempi di recessione e di estrema preoccupazione del gettito tributario. Ci auguriamo che alcuni nodi spinosi, come la ripartizione di Irpef e Iva tra centro e periferia, vengano affrontati già nella legge delega, senza rinviarli. Al momento sui comuni pesa come un macigno l’abolizione della tassa sulla casa, ma già si pensa di reintrodurla in qualche nuova forma.
E a casa nostra di cosa si parla? Sembra che due siano i tormentoni che sono stati al centro dell’attenzione, peraltro non troppo alta, nella stagione che sta per concludersi. Il principale è quello legato al rimpasto di giunta.
Non è una questione di sola forma. Investe la sostanza di un’azione amministrativa che, a poco più di due anni dall’insediamento, non ha dato grandi segnali di capacità decisionale ed efficacia. Da mesi abbiamo due assessori dimissionari, in settori importanti come il bilancio e il personale. Si pensi alle misure della finanziaria, al federalismo fiscale e al rilancio della pubblica amministrazione: è chiaro che tirare in lungo nel definire un esecutivo che sia nel pieno dei suoi poteri è un segnale di debolezza politica. La stessa che si rivela quando si annuncia per ferragosto la chiusura del cerchio, e poi non si tiene fede alla parola data. Meglio tacere.
La mancanza di una leadership cittadina forte e credibile è sotto gli occhi di tutti. Le difficoltà di tenere insieme una coalizione sono innegabili, i problemi iniziali anche. Ma ci sono amministratori capaci che lasciano il segno. Non sembra il caso di Busto. A nostro avviso, il difetto principale è dato dalla mancanza di una progettualità politica che, al di là della spartizione delle poltrone, costituisca un saldo punto di riferimento per chi deve decidere e motivare la squadra di governo. Un difetto di “fabbricazione” della giunta Farioli, che temiamo non sarà superata nel resto della legislatura. Poco importa quale partito comanda e chi avrà questa o quella poltrona, per quanto poco decoroso a volte si presenti lo spettacolo. La commedia sembra già stata scritta, e gli attori la recitano.
Purtroppo per tutti noi, per i cittadini e la città. Che ha bisogno di muoversi e riprendere slancio, mentre sembra ingessata e incapace di darsi un’accelerazione. Le forze produttive, le potenzialità innate di una città orgogliosa e capace sono pronte a rispondere all’appello. Ma la politica sembra incapace di lanciarlo. Un’afasia che rischiamo di pagare per molti anni. P.S. Il secondo tormentone ci riguarda direttamente come Partito Democratico, e investe le modalità della nostra opposizione. Ne abbiamo già parlato più volte, e ne riparleremo. Il dubbio che ci coglie è uno solo: non è che qualcuno vuole farci giocare al suo gioco, stabilendo modalità e contenuti? Si rassegni: possiamo giocare bene o giocare male, ma di certo non ci facciamo dettare le mosse. Da nessuno.

DECIDERE E... CONTROLLARE Eravamo e siamo all'opposizione, non rifuggiamo dal dibattito

Accettiamo di buon grado il confronto proposto dal nostro direttore e interveniamo nel dibattito sulla recente, ma intensa, “storia politica” di Busto. La discussione è stata aperta dal collega Bottini, con un’analisi sull’acquisto del calzaturificio Borri e la mancanza di un adeguato utilizzo che a tutt’oggi lo caratterizza. Poi, stimolato da chi ci ospita, sempre Bottini apre una riflessione dal titolo “Dove eravamo” negli ultimi quindici anni?
Per quanto ci riguarda, una cosa è certa. Eravamo, e siamo, all’opposizione. Sia prima, negli anni a monocolore leghista, che dopo, quando chi stava all’opposizione della Lega - e con accenti forti - ha deciso di allearsi con l’avversario di un decennio.
L’affermazione non venga letta come un voler rifuggire dalla serietà del dibattito. Per quanti limiti ed errori possano esserci imputati, onestà intellettuale vuole che non si possa equiparare, quanto a responsabilità concrete, chi deve amministrare e decidere con chi ha un ruolo di controllo. Non è un caso che quando iniziarono i problemi dell’impoverimento della macchina comunale, con tutto quello che ne è seguito, chi era all’opposizione ieri, e governa oggi pagandone lo scotto, non riuscì a contrastare il processo in corso. Governo e opposizione non sono sullo stesso piano.
Due elementi delle considerazioni di Bottini ci trovano comunque d’accordo. Temi scottanti come il Borri impongono una riflessione politica a tutto campo, che esula dal semplice riferimento urbanistico. Inoltre, se “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso” come cantava De Gregori qualche anno fa, ogni realtà che ha un suo posto nell’economia cittadina – dai media alle imprese, dalle associazioni culturali alle istituzioni religiose – non può esimersi da un esame costruttivo del proprio operato. Perché, e questo è un fatto e non un’opinione, raramente hanno esercitato quella neutralità che a parole rivendicano e negli atti non praticano, o praticano molto poco.
Non possiamo che compiacerci con il nostro collega di Forza Italia che rileva oggi i salti acrobatici di qualche mezzo d’informazione. Speriamo non sia solo perché cavalca il baio altrui invece del proprio.
Alcune riflessioni di merito. Lo tzunami di Tangentopoli fu l’effetto, non la causa, della crisi che ha investito la politica e i partiti della prima Repubblica. La Lega ha saputo interpretare questo nuovo contesto. Forse, come dice Bottini, all’inizio con personale poco esperto, “raccogliticcio”, ma con un’intuizione iniziale in cui, accanto ad elementi identitari spesso folkloristici ed espressi in modo volutamente becero e aggressivo, ha accostato una difesa populistica ma elettoralmente efficace degli interessi dei territori. Questo le ha assicurato una rendita di lungo periodo, e un’occupazione dei gangli politici ed economici anche nella nostra città. Una domanda sorge spontanea: data l’analisi non proprio generosa che il collega opinionista fa degli anni di amministrazione leghista, perché poi si sono alleati? Banale la risposta: perché le alleanze non si decidono a casa nostra, ma a Roma o, se va bene, ad Arcore. Legittimo, ci mancherebbe. Ognuno fa quel che può. Però ricordiamolo, altrimenti risulta difficile comprendere i diversi capitoli di questa storia.
La difesa della patria che caratterizza AN, e il federalismo della Lega spinto a volte ai limiti della secessione, per esempio, non si ricompongono sull’altare degli ideali. Più facilmente, su quello dell’interesse a governare.
I ritardi del centrosinistra a capire questi e altri processi, le sue rigidità e divisioni, in una realtà che pur cambiando manteneva una fisionomia fortemente conservatrice, hanno rallentato la capacità di contrastare l’egemonia del centro destra. Privilegiando, inevitabilmente, una politica del “cosa non va bene”, pur necessaria, rispetto a una del “cosa si deve fare”.
Dal tono dell’intervento di Bottini notiamo un’autocritica non da poco. Quello che manca è però il pezzo più importante: oggi la Lega dovrebbe aver digerito la gestione in condominio – o no? – e le persone, se sono inadeguate, si possono cambiare. Anzi, si devono cambiare. E allora, alibi non dovrebbero essercene più.
Bottini, riferendosi al Borri, dice: ” scegliamo un’idea, fra le tante che vivono sommerse e per timore di contrasto non emergono, e trasparentemente cerchiamo dei partner”. Giusto. Scegliete un’idea, per favore. Sul Borri, su Piazza Solaro, sui servizi della zona industriale, su quello che vi pare. Ma scegliete. Perché se l’amministrazione leghista nei suoi primi anni è stata improntata al “freno a mano in ambito urbanistico” – e su questo abbiamo qualche dubbio, vedi Museo del Tessile e Molini Marzoli - la situazione attuale sembra caratterizzata dalla retromarcia della politica. D’accodo, le cose da sistemare sono tante. Ma sei anni di governo non sono bastati a farvi dire: “cosa devo fare per la mia città?”? Ci vuole un altro tzunami?
A futura memoria dei cittadini di Busto Arsizio, per quando torneranno a votare, perché valutino con attenzione i comportamenti e i risultati di chi li governa.
La settimana politica di questo irrequieto e temporalesco fine luglio si apre con un episodio che vale una riflessione, più ancora che un commento di parte, magari rilasciato a caldo ai media che telefonano alle opposizioni.
Cosa che a dire il vero non è nemmeno avvenuto.
I fatti, prima di tutto, come si evincono dalla lettura dei giornali.
Farioli domenica legge in un quotidiano locale che l’assessore di Forza Italia Massimo Buscemi, gallaratese, ha rilasciato un’intervista in cui dice che il sindaco di Busto deve scegliere fra l’amministrazione civica e il consiglio regionale, ruoli che la legge ritiene incompatibili. Una banalità, nella sua evidenza.
Non la pensa così il nostro primo cittadino, che “prende il cappello” ( a luglio? però domenica pioveva, questo è vero) e manda "sms” (sic!) in cui rileva nelle parole dell’autorevole collega di partito un’ingerenza negli affari di casa nostra. E proprio nel delicato momento in cui si tratta della redistribuzione delle deleghe assessorili. Come si sa, Buscemi è presidente onorario dell’Associazione Dialogando, che raccoglie le forze di una delle componenti di FI a Busto. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Così il sindaco chiede ed ottiene le deleghe degli assessori del suo partito, che gli rinnovano la fiducia – e ci mancherebbe - fa discutere la Lega che parlando a due voci lascia qualche dubbio sulla soddisfazione o meno rispetto alla decisione assunta, mentre Alleanza Nazionale dice di non essere stata consultata.
Ci sorge un dubbio: ma in comune non fanno gruppo unico, quello del PdL? Sorvoliamo.
La motivazione di Farioli per avere in mano le dimissioni dei suoi si basa fondamentalmente su questo ragionamento. Il cambio degli assessori, iniziato in sordina con due di loro, per motivi personali e professionali, non è “un semplice rimpasto…significa che sono totalmente a disposizione della città, una prova di orgoglio, dignità e fiducia”. Dunque, proviamo a trarne delle indicazioni.
In primo luogo, il Sindaco parrebbe scegliere di rimanere tale, stando a quanto si legge, e rinunciare alla regione. Non è una novità, dice di avere “nel cuore” la decisione, per cui quando i cittadini leggeranno queste righe il cuore si sarà pronunciato.
Però: cuore o testa che sia, sta usando questa sua doppia collocazione come una sorta di strumento di ricatto. O mi fate fare quello che voglio senza troppi condizionamenti, oppure… Segno evidente che le tensioni all’interno della coalizione ci sono, e debbono essere pesanti. Forse ancora maggiori sono le sue difficoltà con il partito di maggioranza, vale a dire FI, quello a cui appartiene.
Che cosa poi voglia fare, e su cosa non sia supportato, ammettiamo di non averlo capito. Certo per insipienza nostra. Ci consola non essere gli unici, visto che molti cittadini la pensano come noi.
Però una prova di forza che si appoggia alla stampella di un piccolo ricatto politico, o qualcosa che vuole apparire tale, a noi sembra più che altro un segnale di debolezza. Della serie: voglio ma non posso, per cui o ci provo adesso o resto imbrigliato fino a fine legislatura.
In seconda battuta, quanto sta accadendo mette in evidenza altre difficoltà della politica. Una è quella del rapporto “primo cittadino” e partiti. L’abbiamo sperimentato nella precedente legislatura, in forma abnorme, lo ritroviamo in modalità diverse anche oggi. Ma certo non possiamo fingere che non ci sia un’analogia, che potrebbe valere in linea di principio per qualsiasi coalizione.
L’altra è la totale insignificanza degli accordi programmatici prima delle elezioni. Se avessero peso, capiremmo quali contenuti dividono, e chi, e perché. Non è così. Alla città mancano ancora le coordinate per scelte strategiche su partecipate, urbanistica, trasporti. E’ necessario sapere se l’idea di una convergenza sanitaria con Gallarate è stata abbandonata o meno. Sono questi o altri i problemi che dividono?
Certo ci sono momenti in cui è necessario un lavoro di riorganizzazione e razionalizzazione, anche per errori e inefficienze di chi è arrivato prima, ma la legislatura è una, e al più può essercene un'altra, che noi certo non ci auguriamo.
Per la prima, i tempi stringono. La partita si giocherà in casa della maggioranza: loro decideranno le squadre, gli arbitri, i guardalinee, gli speaker. Anche il risultato? Ovviamente, ma quello in camera caritatis, come si dice.
Ci viene chiesto di non disturbare il seminatore di entusiasmo (Farioli).
Ci mancherebbe! Non che al momento se ne veda molto in giro, ma speriamo che la semina porti al raccolto. O il declino sarà molto meno entusiasmante, e la città chiederà il conto.
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