martedì 7 ottobre 2008

"CASO" LATTUADA Proviamoci col dialogo dopo un Consiglio Comunale soft

Il primo consiglio comunale della ripresa dopo la pausa estiva, si è svolto martedì 16 settembre, ed è stato un consiglio per così dire “soft”. Con una sola delibera all’ordine del giorno, si sono potute affrontare interrogazioni e mozioni dei consiglieri, da tempo ferme in attesa di essere discusse. O meglio: sono state trattate ed evase quelle dei consiglieri arrivati e rimasti in sala esagonale, e non quelle di chi se n’è andato poco più di mezz’ora dopo l’inizio, come i colleghi Porfidio e Corrado. Su questo, transeat.
Nei tre minuti che lo statuto mette a disposizione di ciascun gruppo per trattare un tema a piacere, dal banco di Rifondazione Comunista è stato letto un comunicato che stigmatizzava l’eventualità che nella costituenda giunta due del sindaco Farioli possa essere chiamato a svolgere un ruolo di assessore Francesco Lattuada, capogruppo di AN. La richiesta di evitare il conferimento dell’incarico all’esponente politico, è motivata dal fatto che lo stesso è da alcuni mesi sotto inchiesta della magistratura per ipotesi di reato configurabile come “apologia di nazismo”. Un reato rubricabile fra quelli di opinione, certo, ma che suscita un moto di ripulsa, inevitabile quando lo si associa all’ideologia nazifascista.
Questo comporta una valutazione quanto meno di opportunità, a cui il sindaco non può sfuggire e di cui sarebbe chiamato a rispondere. Soprattutto considerando che viviamo anni, nella nostra città, segnati da momenti difficili e preoccupanti, in cui rigurgiti di ideologie che la storia ha definitivamente condannato si sono manifestati più volte e con violenza. Per ricordare i fatti più eclatanti, citiamo l’attentato alla sede dell’ANPI, la vergognosa aggressione verbale e intimidatoria al nostro Angioletto Castiglioni, da parte di un gruppo di facinorosi naziskin, l’indagine su gruppi il cui obiettivo era la ricostituzione del famigerato patito nazionalsocialista, con tanto di festeggiamento per l’anniversario della nascita di Hitler, che ha coinvolto l’esponente politico menzionato. Fatti che hanno avuto risonanza nazionale, e di cui Busto non può certo dirsi fiera.
Anche in politica, continuano le polemiche sulla ricostituzione di un comitato antifascista, su cui non c’è condivisione d’intenti in merito al se e come concretizzarlo nuovamente. Così, per reazione, piccoli gruppi provano a farselo “in casa”, per così dire; dimenticando la lezione degli antifascisti veri, i nostri partigiani, che sapevano e sanno quanto sia imprescindibile estendere la partecipazione, non restringerla. Lezione che un partigiano del valore di Giovanni Castiglioni ha caparbiamente insegnato a tutti, sempre.
Il timore che suscita in noi questa situazione è il rischio di stagnazione, la contrapposizione sterile, la regressione verso l’impossibilità di un dialogo fecondo fra coloro che sono disponibili a lavorare in questa direzione.
Per questo, le parole pronunciate dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il 13 settembre alla Festa dei giovani del suo partito sono un evento importante: inaspettato, forse non compreso fino in fondo, eppure carico di implicazioni.
«Sono convinto - ha scandito Fini - che la destra politica italiana debba dire alto e forte che si riconosce in alcuni valori, in particolare i valori della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Sono tre valori tipici di ogni democrazia, ben chiari nella nostra Costituzione. Valori che a pieno titolo possono essere definiti valori antifascisti». Da questa premessa Fini ha fatto discendere una serie di affermazioni inequivocabili, prima fra tutte «ogni democratico è antifascista». Ben sapendo che non tutti gli antifascisti (quelli che credevano nell’Unione sovietica di Stalin) erano democratici. Un discorso senza dubbio apprezzabile, un passo fondamentale verso la costituzione di una destra antifascista e moderna: senza nessuna nostalgia per la storia, gli uomini, i simboli del passato nazi-fascista. Simboli che, a Busto, alcuni rivendicano come legittima opinione fra tante, dissociandoli dalla morte e dal terrore di cui sono portatori.
La verità di quelle parole sostiene quel legame costituzionale nato dalla Resistenza e dalla Liberazione che, unico, può fondare una memoria condivisa, una riflessione storica comune. Apre la via ad un dialogo, nel senso vero di “parlare insieme di qualcosa”, affinché il parlare renda possibile l’incontro. E questo implica che dall’altra parte si istituisca quel “saper ascoltare”, che di un colloquio è parte costitutiva.
Proprio quello di cui avremmo bisogno nella nostra città. Per isolare i violenti e gli ottusi, per far finire un’epoca di chiusure e conventicole, di gruppuscoli e comitatini che coltivano la separazione quasi fosse essa “il” valore, e loro i possessori dell’unica verità vera. Dopo i tanti, brutti avvenimenti di quest’anno, se proprio Busto si facesse punto di partenza per il nuovo, sarebbe un bel segnale. Proviamoci.

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