martedì 7 ottobre 2008

SOFFERENZA INDUSTRIALE Malpensa, Fiumicino... e tutti zitti-zitti?

Nelle ore in cui scriviamo queste righe, la tensione per il futuro di Alitalia è alle stelle. Sabato 13 settembre, la giornata più nera di questa vicenda, migliaia di viaggiatori hanno telefonato al call center della compagnia di bandiera per avere informazioni sulla situazione dei voli e la validità dei biglietti. I centralinisti hanno sconsigliato l’acquisto immediato: ”Aspetti a comprare il biglietto, ancora non sappiamo niente di sicuro”. E’ in pericolo anche la licenza di volo: siamo al caos e a una fine indecorosa, perché di fine si tratta, comunque vada. L’elenco completo e la graduatoria delle responsabilità sono pressoché impossibili in poche frasi: si tratterebbe di riscrivere l’intera storia, interessante comunque perché sarebbe metafora della storia italiana e dei suoi intrighi e intrecci politici, economici, finanziari, corporativi.
A noi che, con buona pace di altre autorevoli opinioni, non siamo ancora dissociati tra l’essere bustocchi e varesotti, e poi italiani; a noi che ci preoccupiamo della situazione per il suo impatto complessivo e quindi anche per il futuro di Malpensa e Linate, che sono strategici per il nostro sistema territoriale, viene naturale soffermarci a riflettere su alcuni aspetti importanti. Il Presidente del Consiglio ci aveva imbonito da giorni, pensando che tutto fosse a posto. Poi ha dovuto cedere e intervenire prima che la sua operazione crollasse miseramente, cercando di accollare le responsabilità alla sinistra per il no di quei sindacati, la cui collocazione alla sua destra dev’ essergli sfuggita. Una faccia tosta encomiabile, dopo che per ragioni elettorali e politiche ha infilato Alitalia in questo incubo. Ve lo ricordate Berlusconi, prima della rinuncia di Air France, da leader dell’opposizione farsi paladino della bandiera dell’italianità?
Eppure, per le prospettiva industriali e strategiche, per il prezzo dell’operazione – ad Air France sarebbe costata 3 miliardi, senza oneri per i contribuenti – per la pulizia e chiarezza delle procedure, quella era una soluzione indiscutibilmente migliore. Oggi siamo di fronte ad un progetto che metterà a carico dei cittadini – anche padani!- un miliardo e mezzo (dopo che in questi anni ne abbiamo già pagati 3) settemila esuberi e una decontribuzione dei costi del lavoro a favore delle aziende, che rischia di creare un pericoloso precedente, perché in Italia crisi ce ne sono ovunque, e altri potrebbero giustamente chiedere lo stesso trattamento. Il tutto per un piano che non darà vita a una nuova e importante compagnia di bandiera, ma alla nuova AirOne domestica e monopolistica con capacità di azione e investimenti limitati.
Che significa questo per noi? Che la nuova società non riuscirebbe mai a dare risposte territoriali adeguate. Come: prima una polemica infinita per i due hub di Fiumicino e Malpensa, e adesso che non ce ne rimane nemmeno uno tutti zitti? Tutta la diatriba su chi dovesse tenersi l’hub, Milano o Roma, era una presa in giro?
Che si possa sganciare la sorte di Alitalia da Malpensa è cosa ovvia: come si faccia e i risultati da ottenere sono ben altro, non vi è nulla di sicuro e di già scritto nelle stelle. Di certo appare sempre più probabile la sofferenza industriale di Linate e Malpensa nel prossimo futuro, e la fine delle speranze che quest’ultima possa caratterizzarsi come un vero hub, in grado di competere con gli altri aeroporti europei che lo sono da tempo. In un’area strategica come il corridoio 5, attraversata dall’alta velocità e da un sistema di relazioni economiche di altissimo livello, il problema dell’assenza di un trasporto aereo a caratura internazionale non è cosa che si possa sottovalutare. E allora siamo sinceri: la battaglia l’abbiamo persa, e chi sta oggi a Roma ha voluto che la perdessimo. La bandiera? Si sarebbe potuto investire perché imprenditori italiani entrassero nell’azionariato. Meglio partecipare ad una cosa grande che essere padroncini di una cosa piccola. La paura che da parte di Air France si sarebbe mirato a eliminare un concorrente è, prima di tutto, una paura che risente di una mentalità ancora provinciale. Siamo nell’era della globalizzazione, del mercato globale: dobbiamo ricordarvelo noi? Ciò che conta è raggiungere gli obiettivi aziendali, diventare forti e competitivi: questo un’azienda sana persegue, non la nostra francesizzazzione; e, quand’anche il timore fosse fondato, la capacità di condizionamento dei nostri azionisti avrebbe avuto il suo peso. Sempre meglio di una piccola compagnia regionale, pagata dai cittadini. E forse eppure quella.Oggi, se anche una soluzione fosse raggiunta, sarebbe solo una pezza che lascerebbe aperti enormi problemi. Di fronte al conflitto politica-logica, caro direttore, sembra che manchino entrambe. O, forse, sono rimaste tutte e due quelle di sempre: quelle di una classe dirigente non all’altezza di un mondo che “vola”

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