domenica 30 marzo 2008

COSTRUIAMO SPERANZA Il dibattito sulla "Shoah" non è un obblogo formale

“Ciò che ha connotato tutta la mia vita è stata la mia deportazione nei campi di sterminio nazisti. Con me ad Auschwitz finì tutta la mia famiglia, vennero sterminati tutti. A diciotto anni sono rimasto orfano e quest’esperienza così devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita”.
Così Nedo Fiano –matricola A5405– inizia la commemorazione dei deportati della Ercole Comerio, il 12 Gennaio scorso al Museo del Tessile.
La storia dei nostri ragazzi non la conosce nei dettagli, ma non ne ha bisogno. La macchina della morte nazista non faceva differenza nel disumanizzare con i suoi metodi “i pezzi” umani da distruggere. E così la via crucis di Nedo incrocia quella dei lavoratori di Busto che non sono più tornati da Mauthausen. Si interseca con la vita di Angioletto Castiglioni.
L’annuale celebrazione si svolge pochi giorni prima del Giorno della memoria, e questo ci consente di pensare a ciò che accadde come ad un avvenimento dal significato universale, che non riguarda solo il più tragico momento della storia fra il popolo ebreo d’Europa e la “civiltà” trasfigurata in follia.
Quando Fiano parla della Shoa’ fa venire i brividi, perché lui non racconta, non spiega: lui rivive, lui grida, lui piange, lui rigurgita l’olocausto da ogni poro della sua pelle.
E’ un grido di disperazione, un urlo di dolore incommensurabile: parla della madre come se la salutasse per l’ultima volta adesso, non 64 anni fa, poche ore prima che la sua vita terrena si interrompesse nel Crematorio n°2. La sua non è una conferenza ma un’invocazione inconsolabile: “Questo è stato e io sono ancora vivo e voi siete ancora vivi e l’umanità esiste ancora dopo questo”. Lui Testimone, in un tempo che vive di testimonial e grandi fratelli.
Quanto più ci allontaniamo dall’epoca degli avvenimenti, quanto più il numero dei sopravvissuti diminuisce, tanto più cresce il timore che il dibattito sulla Shoà rimanga circoscritto a un ambito accademico e astratto e perda gradualmente il legame con una dimensione umana, personale. Apparentemente questo è un processo naturale: coloro che ricordano si allontanano dalla sofferenza delle vittime a favore di una prospettiva storica più ampia, generale, teorica. In un certo senso è più facile, e persino "comodo", occuparsi di un evento storico traumatico con gli strumenti del pensiero astratto e del dibattito concettuale piuttosto che esporsi, di volta in volta, alle atrocità, all’insopportabile sofferenza del singolo, dell’uomo, della donna e del bambino vittime di quel trauma.
Eppure tale dibattito è significativo, e autentico, solo se non si trasforma col passare del tempo in una sorta di obbligo formale, di tributo che si paga come obolo necessario una volta l’anno, per poi continuare come se “ questo non fosse stato”.
E’ stato notato che i pochi giovani presenti all’evento di quel giorno non sembravano né particolarmente toccati né interessati. Viceversa molti ragazzi delle nostre scuole hanno reagito con grande partecipazione emotiva agli appuntamenti cittadini. Tutto a pochi mesi di distanza da episodi che hanno visto Busto Arsizio al centro della cronaca, causati da stolti infettati da un antisemitismo sempre latente. L’odio antisemita è un veleno che permea il tessuto morale ed etico di ogni nazione.
Tuttavia prima di giudicare dovremmo fare una riflessione. Quali messaggi mandiamo ai più giovani nella nostra città? Chiediamoci come noi, politici e rappresentanti di questa generazione, comprendiamo l’incisività e l’attualità degli interrogativi che la Shoà ci prospetta, e la rilevanza che hanno ancora oggi. Come noi, nella vita amministrativa, riusciamo, con le azioni e i comportamenti, a veicolare il messaggio che la memoria che serbiamo di quegli avvenimenti terribili può essere veramente una sorta di richiamo morale nei comportamenti quotidiani.
Siamo in grado di parlarne e confrontarci sulla base della comune consapevolezza che contro la difesa dalle follie più efficace di ogni legge è la memoria, strumento potente per capire e rispondere alle sollecitazioni del presente?Ognuno ha una personale sensibilità e una propria coscienza. Ma la comunità politica cittadina deve trovare comportamenti e linguaggi condivisi, basandosi sulla conoscenza dei fatti storici, facendo riecheggiare gli interrogativi morali, sociali e filosofici che quella tragedia risveglia, mantenendo sempre un legame con le vicende personali degli esseri umani che la vissero. Noi siamo il passato e il futuro, ha detto Fiano: e allora costruiamo speranza, innestiamo un progetto responsabile con al centro la pace e la fiducia tra i popoli, l’incontro tra culture e religioni diverse. Perché l’odio fra le genti e le stragi degli innocenti nel mondo non sono retaggio di un passato a cui diciamo: Mai più!, ma realtà di un oggi costretto di continuo a dire:”Ancora!”

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